28 luglio 2014

I fratelli Stuparich e Podestaria

di Maria Vittoria Adami, Verona Fedele - 20 luglio 2014
Carlo e Giani Stuparich, giovani letterati cresciuti nella Trieste di Saba e Svevo e spiriti irredenti, avevano maturato l'ideale dell'italianità della loro terra studiando a Firenze e frequentando, con Scipio Slataper, gli ambienti letterari de «La Voce» di Prezzolini. Fratelli inseparabili, si arruolarono volontari nell'esercito italiano, nonostante la chiamata alle armi provenisse dall'impero Austroungarico. I primi mesi di combattimenti per loro furono tragici, inviati subito nelle trincee del Carso e sulla Rocca di Monfalcone.
Furono poi nominati ufficiali della Milizia Territoriale. Giani a Vicenza; Carlo a Verona, città dalla quale partì, passando con la sua compagnia per Porta Vescovo, diretto a Bosco Chiesanuova.
Doveva costruire la strada di Podestaria, importante raccordo tra Erbezzo e Bosco Chiesanuova e il sistema difensivo dal Pedocchio a Castelberto.

Giani sopravvisse, affermandosi poi tra i maggiori letterati del Novecento. Carlo morì suicida nel 1916, sul monte Cengio, dopo un aspro combattimento e rimasto solo a difendere una trincea.
Nel 1937, Giani volle vedere i luoghi nei quali, per breve tempo, aveva vissuto il fratello. Ne scrisse un articolo, dai toni nostalgici e poetici: «La strada di Podestaria», pubblicato sulla Stampa. Il testo è stato raccolto, nell'omonimo volume a cura del ricercatore universitario Giuseppe Sandrini, con le 18 lettere che Carlo gli inviò da Podestaria, immortalando i pascoli della Lessinia su carta, scrivendo chino, con la mantellina sulle spalle e una valigia per scrittoio.
«Dunque siamo per ora a Bosco Chiesanuova; guarda sulla carta su a nord di Verona; ma è probabile che si proseguirà ancor più oltre su Podestaria (1700m.). I posti sono bellissimi, ma per me melanconici; ho pigliato un quattro punti di paesaggio magnifici colla mia macchinetta».
È il 13 settembre 1915 quando Carlo sale con l'84° battaglione (Prima armata) da Verona a Bosco, diretto a Podestaria, e scrive al fratello Giani. Dalle caotiche trincee del Carso, viene catapultato nella pace della Lessinia, in subbuglio sì, per i lavori al sistema difensivo in caso di penetrazione austriaca dalla Val d'Adige, ma pur sempre un altopiano di erba verde accarezzata dal vento e mucche al pascolo. C'è malinconia in quelle poche righe: non appena arrivato a Verona, Carlo chiede subito il trasferimento per stare al fianco del fratello. Vuole tornare a combattere nei luoghi a lui cari e irredenti. «Sono così fuori dal mondo – scrive Carlo a Giani tre giorni dopo – che davvero quanto a comunicazione umana si stava meglio nelle trincee del Carso; per far venire su i viveri e tutto l'altro della sussistenza ci vuole un lavoro continuo. Il compito del battaglione è la costruzione della nuova strada per Podestaria; ti scrivo seduto sull'erba sorvegliando il lavoro della mia compagnia».

Il 17 settembre Carlo incornicia il paesaggio della Lessinia in pochi versi: «Poche cose si muovono intorno, due pastori, un po' di vento, veli di nebbia che camminano... Tutto il resto sta tranquillo e silenzioso, giù davanti un boschetto di pini circoscritto di muriccioli bianchi e pare natura carsica, ma gli altri monti tutto intorno sono d'erba e vi pascolano armente con campanelli... Qua dove siamo non ci sono che sparsi casolari di pastori e attendamenti; l'acqua è scarsissima. Il cannone l'odono tutto il giorno, io no (era sordo per l'otite, ndr). Il nostro battaglione lavora su una strada e lavora magnificamente; gl'ingegneri e gli altri ufficiali sono meravigliati...». L'ultima notizia è del 18 settembre: «Parto da qui a te; la mia domanda è stata accettata». Morirà nel maggio successivo.
Nella sua passeggiata, 22 anni dopo, a Giani pare di rivedere il fratello, tra il verde dei pascoli: «Lo vedevo mentre sorvegliava gli uomini, ammirato lui stesso della loro capacità e tenacia in quel duro lavoro; lo vedevo adattarsi con intelligenza a seguire i criteri e le istruzioni dei suoi colleghi del genio; ora girare fra picconi e vanghe in moto, ora sedersi sull'erba e meditare: gli scoppi e i fumi delle granate, i crolli delle trincee carsiche gli dovevano tornare spesso alla memoria. Intanto la strada nasceva, girava ansando su per l'erta, vinceva regolare e volitiva l'asprezza caotica del terreno pietroso, spruzzato di magri pascoli». 

Le foto sono del volume «La strada di Podestaria», a cura di Giuseppe Sandrini (Alba Pratalia 2005).

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